Come passa la vigilia di una finale?
L'immancabile mazzo di carte, ovvio, e gli smartphone con le cuffie, certo. I massaggi, le chiacchiere. Qualcuna tira fuori un ukulele, e questo davvero è da pochi. A un certo punto c'è una portentosa epifania, due vaschette di gelato, che mettono d'accordo tutte e tutti.
Si cerca di star bene con se stessi, semplicemente.
Un manipolo di coraggiose guarda lo streaming di Olympia - Neptunus. In pedana parte Hop e poi Zoulova entra per il rilievo lungo; capiamo che in finale ci toccherà ancora van Aalst, con possibile subentro di Hop in caso di complicazione. Richiesto di un parere, coach Francisca annuisce con solennità.
E vabbé che si conoscono bene, che nel loro campionato giocano l'una contro l'altra una mezza dozzina di volte; ma Wissink e compagne riescono a far sembrare le olympians una squadra normale: dieci valide, sette punti, anche tre errori per le bluarancio, partita in bilico fino alla fine, niente "manifesta". Ed è stata partita vera, niente sconti, le due contendenti si detestano cordialmente, specie dopo che lo scorso anno Rotterdam ha "scippato" lo scudetto alla quinta partita di finale.
O forse siamo noi a dimenticarlo, che l'Olympia è *davvero* una squadra normale? forte fortissima formidabile, certamente, ma fatta prima di tutto di persone. Che in partita vanno a folate spettacolari, forzano sempre il gioco, ti intimidiscono (sempre sportivamente parlando), praticano un softball a tratti irresistibile. Però questo non glielo puoi concedere impunemente, non senza provare a fare il tuo gioco.
E ti viene in mente che spesso siamo noi, il nostro peggior nemico. Non importa quanto legittimo timore possiamo provare, quanto ci abbia fatto male la manifesta dell'altra sera, quanto ci possiamo sentire timorosi e ansiosi allo stesso tempo. Questa è LA finale: la strada è in salita in ogni caso. Si tratta di andare in campo e mettercela tutta. Chi è più forte, vincerà. Sul campo.
Ma prima no, non possiamo essere noi i nostri peggiori nemici.
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